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giovedì 8 dicembre 2016

"LA CIVILTÀ CATTOLICA" SCENDE IN CAMPO


 

Nel fascicolo della rivista dei Gesuiti La Civiltà Cattolica, che sarà pubblicato il prossimo  10 dicembre, c’è un articolo del Prof. Cesare Giraudo s.i. dal titolo «La riforma liturgica a 50 anni dal Vaticano II. “Parlare di riforma della riforma” è un errore» (fascicolo 3995 [10 dicembre 2016] 432-445). Si tratta di un articolo che merita attenzione dato che, come si sa, La Civiltà Cattolica è esaminata in fase di bozza dalla Segreteria di Stato della Santa Sede, da cui ha l’approvazione definitiva. Offro in seguito una breve sintesi del contenuto dell’articolo del Prof. Giraudo.

Si tratta di un testo di ampio respiro, che parte dalla consapevolezza che ancora si incontrano cattolici “che non nascondono le loro perplessità nei confronti della riforma liturgica” (p. 432). Dopo un cenno alle diverse riforme liturgiche nel corso dei secoli, l’autore si sofferma sulla Sacrosanctum Concilium, e nota che il documento non adopera le parole reformare/reformatio, ma la coppia instaurare/instauratio, il cui significato è “far stare di nuovo”, cioè riportare qualcosa allo stato originario (p. 433). In questo contesto di ritorno allo stato originario, l’autore interpretata anche l’affermazione di Pio V nella bolla Quam primum con cui il Pontefice promulga il Messale restituito “all’originaria normativa rituale dei santi Padri” (ad pristinam sanctorum Patrum normam ac ritum), parole e programma che troviamo pure in SC 50. Dato, poi, che di fatto il Messale di Pio V non fu altro che il Missale secundum consuetudinem Romanae Curiae con qualche ritocco, l’autore può affermare che quell’incompiuto progetto del concilio di Trento e di Pio V è stato ripreso da un altro concilio, il Vaticano II, e da un altro Pontefice, Paolo VI. Perciò è giusto affermare che, con l’aiuto dei progressi nelle discipline liturgiche compiuti negli ultimi quattro secoli, il Messale di Paolo VI è il coronamento di un sogno che ebbe Pio V (p. 436-438).

Il Prof. Giraudo riconosce che nella riforma liturgica attuata dopo il Vaticano II, “accanto alle luci, di certo preminenti, non mancano le ombre”. Infatti “la risposta al progetto che emerge dai Praenotanda dei libri liturgici, a cinquant’anni dalla loro promulgazione, lascia ancora molto a desiderare” (p. 439). Dopo un elenco sintetico delle luci e delle ombre, l’autore pone a confronto le diverse opinioni sulla riforma liturgica e indica alcuni rimedi proposti per rilanciarla. In questo contesto, si sofferma sulla conferenza tenuta a Londra il 5 luglio scorso dal card. Sarah, in cui il Prefetto del culto prospettava come rimedio una eventuale riforma della riforma e, in concreto, proponeva l’orientamento comune di sacerdoti e fedeli, rivolti insieme nella stessa direzione. In data 11 luglio, un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede precisava che sull’orientamento dell’altare non c’erano delle novità e inoltre affermava che era meglio evitare di usare l’espressione “riforma della riforma”, riferita alla liturgia. Il Prof. Giraudo aggiunge quanto papa Francesco ha dichiarato con chiarezza in una intervista rilasciata recentemente a p. Antonio Spadaro: “Il Vaticano II e la Sacrosanctum Concilium si devono portare avanti come sono. Parlare di ‘riforma della riforma’ è un errore” (p. 443).

L’autore termina affermando che i veri rimedi da tutti condivisibili sono due. In primo luogo occorre puntare sulla necessaria e urgente riscoperta del sacro, che sia Benedetto XVI con Summorum Pontificum sia papa Francesco in varie occasioni ci hanno ricordato. “Se abbiamo perso la dimensione del sacro, dobbiamo riscoprirla e farla nostra il più presto possibile, attraverso il giusto impiego di quei segni gestuali e verbali che aiutano a tenerla desta, quali un certo doveroso mantenimento della lingua latina e del patrimonio musicale che ha caratterizzato l’intera tradizione dell’Occidente” (p. 444). Vi è poi il tema della formazione liturgica. Resta infatti molto da fare per giungere a un’assimilazione completa della costituzione SC. “La riforma liturgica è malata per il semplice motivo che i suoi odierni fruitori l’hanno recepita in maniera debole. Si tratta di una malattia da curare, non di un malato da sopprimere” (p. 445).

Il testo del Prof. Giraudo è tutto da leggere. In modo pacato e chiaro sono toccati i principali punti dell’attuale dibattito liturgico.

M. A.