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venerdì 24 marzo 2017

DOMENICA IV DI QUARESIMA ( A )


 
1Sam 16,1b.4a.6-7.10-13°; Sal 22 (23); Ef 5,8-14; Gv 9,1-41


Il Sal 22 è un bellissimo poema di alta ispirazione lirica che parla di comunione è di intimità tra Dio e l’uomo. L’affermazione centrale del salmo è “perché tu sei con me”. Più in particolare, questo Dio che ci è vicino è contemplato come colui che guida (come il pastore guida il suo gregge), e come colui che offre ospitalità. Nella persona di Gesù, il Dio che fu Pastore e Ospite di Israele, si è fatto incontro agli uomini con un volto umano e con amore e bontà al di sopra di ogni misura. Il Signore Gesù è per ognuno di noi Pastore e Ospite divino; egli ci conosce per nome, ci accompagna nelle asprezze e avversità del nostro pellegrinaggio e ci fa partecipi dei beni di Dio suo Padre. Nel Battesimo, nella Confermazione e nell’Eucaristia, Egli porta a compimento l’opera della salvezza per condurci al pascolo e al banchetto eterno.

Il racconto della guarigione del cieco nato operata da Gesù e riportata dal brano evangelico odierno è un miracolo in due tempi caratterizzati da due incontri dell’uomo cieco con Gesù: nel primo incontro Gesù, dopo aver spalmato del fango sugli occhi del cieco, lo invia a lavarsi alla piscina di Siloe. Quegli va, si lava e torna che ci vede. L’uomo ormai guarito della cecità ha un secondo incontro con Gesù. Questo nuovo incontro è collocato alla fine di un itinerario di prove e di incomprensioni che porta il nostro uomo a riscoprire un’altra luce, quella di Cristo che egli esprime con la professione di fede: “Credo, Signore”, e con il gesto dell’adorazione: “E si prostrò dinanzi a lui”. Nel racconto di san Giovanni, il dono della vista del corpo è simbolo del dono della fede. Notiamo che nei due casi è Gesù che ha l’iniziativa: è lui che, passando, vede il cieco; ed è ancora lui che, avendo saputo che era stato cacciato dai farisei, lo incontra per guidarlo alla fede.

San Paolo ci ricorda nella seconda lettura che non basta incontrare la luce della fede in Cristo. Essa deve permeare la nostra vita. Se siamo stati illuminati con la luce della fede, dobbiamo comportarci “come i figli della luce”, il cui frutto “consiste in ogni bontà, giustizia e verità”. Si tratta di tre dimensioni che abbracciano l’intera esistenza umana. Da parte sua, la prima lettura, tratta dal primo libro di Samuele, illustra le caratteristiche che deve avere lo sguardo del credente. C’è modo e modo di vedere; c’è un vedere che si ferma alla superficie delle cose e degli avvenimenti, e un vedere che va oltre le apparenze. Nella scelta di Davide, il più piccolo dei figli di Iesse, si manifesta il criterio della fede. Dice il Signore a Samuele: “Non guardare al suo aspetto né alla sua alta statura. Io l’ho scartato, perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore”.

Il racconto della guarigione miracolosa del cieco nato, ci fa capire che la fede è un itinerario. Il cieco, come il catecumeno, arriverà ad essa per tappe. Possiamo e dobbiamo quindi approfondire sempre di più il nostro incontro con Cristo. Si tratta di un itinerario impegnativo. Confessare la propria adesione a Cristo può comportare l’opposizione del mondo, come nel caso del cieco nato, che non viene difeso neppure dai suoi parenti ed è escluso dalla comunità. Questo itinerario laborioso e impegnativo lo si compie guidati dallo stesso Cristo che, per primo, si rivela a noi. Illuminati dalla luce che è Cristo, la nostra esistenza diventa luminosa e siamo capaci di interpretare le vicende della vita con gli occhi della fede. L’Eucaristia a cui partecipiamo è “mistero della fede”. Il cammino di fede iniziato nel Battesimo ci conduce all’Eucaristia, come al suo termine logico. E’ nell’Eucaristia che viviamo in pienezza il nostro incontro con Cristo luce del mondo.