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sabato 6 maggio 2017

DOMENICA IV DI PASQUA (A)


 
At 2,14a.36-41;  Sal 22 (23); 1Pt 2,20b-25; Gv 10,1-10

 
Sono due le unità simboliche che reggono la poesia del Sal 22: quella pastorale, tanto cara alla tradizione biblica e orientale in genere (cf. Ez 34 e Gv 10); e quella dell’ospitalità (la mensa, l’olio profumato, il calice colmo), segno di intimità. Il pastore non è solo la guida, è anche il compagno di viaggio. Nella persona di Cristo, il Dio che fu Pastore e Ospite di Israele, si fa incontro agli uomini con un volto umano e con amore e bontà che superano ogni intendimento. Con questo salmo, che la tradizione pone sulle labbra dei neobattezzati, anche noi manifestiamo la nostra volontà di proseguire con impegno il nostro cammino battesimale sulle orme di Cristo buon Pastore. 

 
Nel brano del vangelo, Gesù si autodefinisce “buon pastore”. L’attesa di un “pastore” che sapesse guidare con giustizia il popolo era sempre stata viva in Israele (cf. Sal 22; Ez 34). Appropriandosi di questa immagine, Gesù intende presentarsi come il Messia atteso, autentica guida, in grado di salvare l’uomo, a differenza di qualsiasi altro, “ladro” e “brigante”. Gesù usa poi un’altra immagine di cui pure si appropria: “io sono la porta delle pecore”. Il tema della “porta” che dà accesso alle realtà celesti era frequente nella tradizione giudaica (cf., ad esempio, Gen 28,17). Gesù è quindi l’unica porta attraverso cui abbiamo accesso alla gloria: egli ci guida “ai pascoli eterni del cielo” (orazione dopo la comunione).
 

Gesù non fa derivare la sua autorità sull’uomo dal ricatto o da imposizioni di qualsiasi genere, ma, come dice san Pietro nella seconda lettura, dall’esempio che egli dà e dalla positività dei valori che propone: “Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme”. Il pastore cammina davanti alle sue pecore (cf. Gv 10,4), si pone alla loro testa e le guida dentro la realtà della storia.

 
Come si entra a far parte del gregge o della comunità di Gesù? Ce lo spiega la prima lettura, tratta dal discorso in cui san Pietro annuncia alla folla di Gerusalemme il Cristo morto e risorto. Alla domanda degli ascoltatori a Pietro e agli apostoli: “Che cosa dobbiamo fare, fratelli?”, Pietro risponde indicando la triplice via che introduce nella Chiesa di Gesù: “Convertitevi”. Il pentimento o la conversione è la richiesta fondamentale. “Ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo”. L’essere battezzati nel nome di Gesù Cristo equivale ad essere inseriti nel mistero della sua persona e della sua opera. Dopo “riceverete il dono dello Spirito Santo”. Dal Signore risorto che dona lo Spirito nasce la comunità dei risorti. All’annuncio del vangelo, fa seguito la conversione, il battesimo e il dono dello Spirito. Solo così si forma parte della Chiesa. Di questa Chiesa, Cristo è porta di accesso ed è pastore che la guida. Quando, dopo la risurrezione, Gesù affida a Pietro la guida della sua comunità gli chiede, come unica condizione: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?” (Gv 21,15). Solo chi ama Gesù e agisce sotto il suo impulso può guidare correttamente la comunità cristiana verso i pascoli della vita. Non si tratta di un amore – sentimento, ma di un modo di pensare e di agire dove Gesù è il centro, la sorgente e lo scopo.
 

Cristo risorto esercita le sue funzioni di buon pastore soprattutto nell’eucaristia. Qui viene in mezzo a noi, ci nutre col pascolo della sua parola e soprattutto, con il suo corpo e il suo sangue. Qui ci dona l’abbondanza della vita.