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venerdì 19 maggio 2017

DOMENICA VI DI PASQUA (A)


 
At 8,5-8.14-17; Sal 65 (66); 1Pt 3,15-18; Gv 14,15-21

 
Da tutta la terra sale una sinfonia di lode verso Dio che agisce nel cosmo e nella storia, in particolare attraverso quel grande evento emblematico che è stato la liberazione del suo popolo dalla schiavitù dell’Egitto. La tradizione della Chiesa attribuisce questo canto di ringraziamento (il Sal 65) a Cristo, perché dopo essere stato messo alla prova e passato al crogiolo come l’argento, è stato glorificato. Anche noi siamo passati dalla morte alla vita nuova ricevuta nel battesimo, e quindi glorifichiamo Dio dicendo: “Acclamate Dio, voi tutti della terra”.

 
La domenica odierna comincia a preparare la solennità della Pentecoste, annunciando il dono dello Spirito Santo. Gesù, tornando al Padre, non lascia soli coloro che credono in Lui. Rimane tra loro in una forma nuova, tramite “un altro Paraclito”, “lo Spirito della verità” (vangelo). Questo Spirito è comunicato mediante il ministero degli apostoli a coloro che credono in Cristo (prima lettura), perché li sostenga e li animi edificandoli in comunità viva, capace di rendere ragione della propria fede (seconda lettura).

 
Gesù risorto non rinnega la solidarietà con gli uomini. La sua morte e risurrezione segnano il passaggio da una presenza visibile ma esteriore a una presenza interiore, meno palpabile dai sensi ma non per questo meno reale ed efficace. Questa presenza è realizzata dallo Spirito Santo, dono del Padre, che rimane con i discepoli di Gesù per sempre. Il compito dello Spirito viene indicato dai due nomi che nel vangelo d’oggi riceve: “Paraclito”, che in greco significa “Consolatore”,  e “Spirito della verità”.

 
Cominciamo dal secondo titolo: “Spirito della verità”. La verità di cui parla il vangelo di san Giovanni è la rivelazione dell’amore del Padre per noi, che si concretizza nello stesso Gesù. E’ Lui la verità! Lo Spirito appare quindi come colui che introduce nella piena conoscenza di Cristo, che ci insegna ad amarlo e a servirlo. Chi non crede che Gesù è la rivelazione dell’amore del Padre, rimane nel suo cuore ermeticamente chiuso ad ogni influsso dello Spirito Santo. Coloro invece che credono in Gesù, con il dono dello Spirito, sono chiamati ad una intimità ancora maggior con Gesù: Egli non è solo “vicino” a loro, ma è veramente “in loro”.  Dicevamo poi che questo Spirito è il “Paraclito”. Il termine proviene dal linguaggio giuridico greco e indica uno che viene “chiamato vicino” ad un accusato perché lo aiuti e lo difenda. Da questo significato proviene quello derivato di “Consolatore”. Solo san Giovanni usa questo termine per indicare sia lo Spirito Santo (14,16.26; 15,26; 16,7) sia Gesù stesso (1Gv 2,1). Quindi il Paraclito è, al pari di Gesù, un “altro Consolatore”. Lo Spirito Santo è quindi dato a nostra difesa, a sostegno cioè del nostro compito di testimonianza nel mondo, affinché siamo sempre pronti a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi (cf. 1Pt 3,15).         

 
Caratteristica propria dello Spirito Santo è quella di essere “il dono” per eccellenza. L’azione dello Spirito è essenzialmente “dono di sé”. Rendersi perciò conto della sua presenza in noi significa prendere coscienza che la nostra esistenza è avvolta dalla presenza premurosa di Dio e questo fatto, se viene recepito a fondo, è capace di trasfigurare profondamente la vita intera. San Cirillo di Gerusalemme afferma che “ciò che lo Spirito Santo tocca è santificato e trasformato totalmente” (Catechesi XXIII).