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venerdì 21 luglio 2017

DOMENICA XVI DEL TEMPO ORDINARIO ( A )


 


Sap 12,13.16-19; Sal 85 (86); Rm 8,26-27; Mt 13,24-43


La preghiera è un atteggiamento del cuore che si apre al mistero di Dio. Pregare significa quindi cercare il volto di Dio. Il Sal 85 è una preghiera piana e scorrevole, calda di fede e di senso religioso, con cui il pio salmista ci conduce alla scoperta di un Dio grande e potente che compie meraviglie, ma che soprattutto è lento all’ira, pieno di amore e pronto nell’offrire il suo perdono a quanti si rivolgono a lui con cuore pentito. In questa preghiera si sente già il dialogo amoroso e confidente del Vangelo: chiedete ed otterrete. La tradizione cristiana ha interpretato questo salmo come preghiera rivolta da Cristo al Padre, sia per sé, sia per le membra di quel corpo mistico, di cui egli è il capo.
La prima lettura biblica, tratta dal libro della Sapienza, parla di un Dio che pur essendo “padrone della forza”, governa “con molta indulgenza” e concede dopo i peccati la possibilità di pentirsi. Sulla stessa linea, la parabola del grano e della zizzania (gramigna), riportata dalla lettura evangelica, ci mostra il volto di un Dio paziente, capace di aspettare, pronto a darci la possibilità di scegliere, di crescere, di maturare, e disposto sempre a perdonare. Dio rispetta la nostra libertà e i nostri ritmi. Egli non vuole dei burattini, docili strumenti senza cuore. Dio vuole l’amore della sua creatura e perciò rispetta la sua libertà. Le altre due brevi parabole del granello di senape e del lievito, riportate dalla pagina evangelica, adombrano la potenza di espansione del regno di Dio.
Siamo invitati a prendere coscienza con realismo della presenza del male nel mondo e in ognuno di noi: “Tutti i membri della Chiesa, compresi i suoi ministri, devono riconoscersi peccatori. In tutti, sino alla fine dei tempi, la zizzania del peccato si trova ancora mescolata al buon grano del Vangelo” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 827). Dinanzi a questa realtà bisogna evitare due estremi: l’esserne succubi o il volerlo stroncare ad ogni costo e in tutte le sue manifestazioni. Pretendere di cancellare radicalmente tutto il male che c’è nel mondo è lo stesso che sopprimere la libertà dell’uomo con il rischio di uccidere l’uomo stesso. Certamente la libertà non equivale al diritto di fare il male, ma apre all’uomo la possibilità di orizzonti di bene. In ogni modo, Dio non vuole limitare la nostra libertà anche se alla fine del nostro pellegrinaggio chiederà conto dell’uso che ne avremo fatto. Gesù con le sue parabole ci fa capire che il regno di Dio ha un inizio (il momento in cui il seme viene seminato nel campo del cuore dell’uomo), una fine (il tempo della mietitura), separati da un tempo di crescita. Non dobbiamo quindi essere precipitosi, fare delle discriminazioni premature.
La tolleranza del padrone della messe stimola anche noi a un comportamento di comprensione. La vera forza dell’uomo non si manifesta nella vendetta, ma nel perdono. I sistemi del puritanesimo, dell’integralismo, del rigorismo e del massimalismo sono estranei allo spirito del Vangelo di Gesù. Se Dio è buono e perdona (cf. salmo responsoriale), anche noi dobbiamo avere il coraggio del perdono. Come ci ricorda san Paolo nella seconda lettura, nei nostri rapporti con Dio e con gli altri dobbiamo affidarci allo Spirito che “viene in aiuto alla nostra debolezza”. Lo Spirito Santo opera in modo continuo nel nostro cuore e orienta il nostro spirito perché sappiamo crescere nella vitalità che viene dall’alto. Fonte di ogni bontà, Dio non è direttamente né indirettamente causa del male. Rispettando la libertà della sua creatura, Dio lo permette e, misteriosamente, egli sa trarre il bene anche dal male.