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sabato 9 settembre 2017

DOMENICA XXIII DEL TEMPO ORDINARIO ( A ) – 10 Settembre 2017

 

Ez 33,1.7-9; Sal 94 (95); Rm 13,8-10; Mt 18,15-20

La prima parte del Sal 94 è un invito a lodare e rendere grazie al Signore. Nella seconda parte è Dio stesso a parlare al suo popolo evocando l’evento centrale della fede d’Israele, la sua nascita come popolo eletto nel deserto dopo la liberazione dalla schiavitù d’Egitto. Ebbene, in quegli inizi Israele ha sfoderato tutta la gamma delle sue ribellioni. Il nostro testo ricorda in particolare l’episodio di Massa a Meriba (cf. Es 17,1-7; Nm 20,2-13) ed esorta i figli d’Israele ad ascoltare la voce di Dio e a non indurire il cuore. Riprendendo il testo salmico, anche noi siamo esortati ad ascoltare la voce del Signore evitando che il nostro cuore si indurisca e ci renda sordi alla sua voce, al suo amore: “Ascoltate oggi la voce del Signore”. 

Nella nostra breve riflessione, partiamo dalla seconda lettura, in cui abbiamo ascoltato un pressante appello di san Paolo all’amore vicendevole, “perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge”. Con queste parole, l’Apostolo riconduce tutti gli obblighi e tutti i rapporti con i propri simili all’amore (cf. anche 1Cor 13,1-8; Gal 5,14). Il messaggio è chiaro: alla base di ogni rapporto personale, famigliare, ecclesiale o sociale ci deve essere una logica di amore. La morale cristiana non è fondata su una serie di precetti, più o meno negativi, ma sulla responsabilità di ognuno per l’altro.

Questo amore per il prossimo si manifesta anche con la correzione fraterna. Un amore permissivo, incapace di denunciare il male che affligge i nostri fratelli, è un falso amore. Ce lo ricordano le altre due letture bibliche. Il profeta Ezechiele, viene affermato nella prima lettura, è stato costituito dal Signore “sentinella per la casa d’Israele”: egli ha il compito di denunciare la mancanza di fede del popolo, di smascherare gli ingiusti, di richiamare i peccatori perché si convertano. Se non lo facesse sarebbe corresponsabile della loro perversione. Sappiamo bene che la presenza del male non riguarda soltanto la società di altri tempi; è un problema con cui dobbiamo fare i conti tutti i giorni. Esso ci coinvolge sempre personalmente.

Il brano evangelico riprende le stesse idee della prima lettura ed espone in modo dettagliato le tappe del processo di ricupero dell’errante, l’atteggiamento di avere nei confronti del fratello che ha sbagliato. Non si tratta di norme disciplinari in senso proprio, ma di una pressante esortazione a fare tutto il possibile per riportare il colpevole sul giusto cammino. Assumendo una posizione passiva davanti agli errori del nostro prossimo noi non perseguiamo la via dell’amore, della solidarietà e della corresponsabilità. La correzione fraterna raccomandata da Gesù comporta un atteggiamento di comprensione e di coraggio al fine di consentire al fratello che è in errore di ravvedersi. Una tale correzione non ha il carattere di azione punitiva ma è volta alla conversione del fratello. Possiamo ben dire che la correzione fraterna è anzitutto un grande esercizio di amicizia e perciò suppone che si ami l’altro come un “altro me stesso” nella consapevolezza di essere assieme fragili ma anche forti, se e in quanto uniti nella carità. Il brano evangelico d’oggi riporta alla fine le parole di Gesù sull’efficacia della preghiera comune: la comunità riunita nella carità gode della presenza di Cristo e, in lui, ottiene dal Padre che progredisca la riconciliazione universale. Il Signore è presente là dove c’è un’autentica concordia nella preghiera.

La partecipazione all’eucaristia ha come frutto il rafforzamento della “fedeltà e della concordia” dei figli di Dio (cf. preghiera sulle offerte).