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domenica 3 dicembre 2017

A PROPOSITO DI “MAGNUM PRINCIPIUM”

 

Il recente motu proprio Magnum principium inizia ricordando “l’importante principio”, confermato dal Concilio Ecumenico Vaticano II, secondo cui la preghiera liturgica, deve essere adattata alla comprensione del popolo, e che possa essere capita.  Il Vaticano II riconosce il valore della comprensione del rito, tra l’altro, quando prescrive che “i riti siano adatti alla capacità di comprensione dei fedeli e non abbiano bisogno, generalmente, di molte spiegazioni” (SC 34). 

 

Questo principio lo fece proprio anche il Concilio di Trento quando riconobbe che la messa “contiene abbondante materia per l’istruzione del popolo cristiano” e, pur conservando la lingua latina, comandò “ai pastori e a tutti quelli che hanno cura d’anime di spiegare spesso personalmente o di far spiegare da altri, durante la celebrazione delle messe, qualche cosa di quello che ivi si legge e, tra l’altro, qualche cosa del mistero di questo santissimo sacrificio, specie nelle domeniche e nei giorni di festa” (Denzinger  1749). Come afferma il prof. John W. O’Malley, “Purtroppo, molto prima che terminasse il concilio, a tal punto il latino era diventato un segno chiaro della identità dei cattolici che il suo uso si è imposto incontestabilmente…” (Trento. Qué pasó en el concilio?, Sal Terrae 2015, p. 190).

 

Come interpretare questo “importante principio”? Si potrebbe interpretare, ed è un rischio, come una forzatura razionalistica che riduce il rito entro i confini della ragione. Il rito non va interpretato secondo la logica della razionalità, ma secondo la logica del simbolo. L’interpretazione più corretta del principio si raggiunge solo se cerchiamo di mettere questo e altri principi della SC in rapporto con il regime rituale precedente alla riforma di Paolo VI e con la percezione di insostenibile distanza con cui la celebrazione era percepita dai fedeli.

 

M. A.